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ComunicazioniPubblicato il 21 febbraio 2025

Stare all’erta, agire in modo innovativo e trovare soluzioni in Myanmar dopo il colpo di Stato

Lucas Riegger, agronomo di formazione, ha lavorato nei Paesi più disparati, dall’Angola alla Turchia. Dall’ottobre del 2022 si trova in Myanmar, dove ricopre il ruolo di capo dell’azione diretta e incaricato di programma nel quadro dell’iniziativa Strengthening Ethnic Institutions. In questo articolo ci descrive un’ordinaria giornata nella sua funzione, seppur di ordinario – dal colpo di Stato che ha scosso il Paese nel 2021 – in Myanmar non resti molto.

Il collaboratore della DSC Lucas Riegger con i colleghi in Myanmar.

«Mi sveglio alle 7.00 e do da mangiare alla regina di casa, la nostra «Queen of All Things In The Premises», una gatta di strada che abbiamo adottato in Turchia. Nonostante il deterioramento delle catene di approvvigionamento, per colazione a Yangon si possono trovare cornetti e brioche di tutto rispetto. Mia moglie parte poco prima delle 8.00 alla volta del vicino liceo francese e io leggo ancora qualche analisi e rapporto prima di recarmi in ufficio. Per andare al lavoro mi godo una pedalata di 12 minuti attraverso parchi con una fitta vegetazione e viali popolati da scoiattoli, uccelli cinguettanti, gigantesche farfalle che svolazzano per strada e piante in fiore. Rispetto ad altre città più urbanizzate nella regione, Yangon sembra una vera e propria giungla. Gli alberi crescono incontrastati e le loro chiome svettano sulla maggior parte degli edifici.

Siamo un team di dieci persone, composto da incaricate e incaricati di progetto con esperienza negli ambiti dell’ingegneria e della facilitazione e accomunati da un’unica missione: sostenere la fornitura di servizi di base alle comunità vulnerabili nelle aree controllate da gruppi etnici in Myanmar. Si tratta di un compito che richiede grande attenzione alle informazioni provenienti dal campo e coordinamento con altri programmi dell’ambasciata. Un lavoro molto interessante, inutile dirlo.

Il Myanmar è un contesto straordinario e complesso, caratterizzato da una ricca storia e da un patrimonio materiale e immateriale unico nel suo genere. Questa non è la mia prima esperienza nel Paese: tra il 2007 e il 2008 ho svolto un incarico presso il Programma alimentare mondiale. All’epoca mia moglie lavorava per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ed entrambi abbiamo vissuto la cosiddetta «rivoluzione zafferano» nel 2007 e il ciclone Nargis nel 2008. Nel 2022 sono tornato di buon grado in Myanmar e anche questa volta non potrei desiderare colleghe e colleghi più impegnati al mio fianco.

Sono particolarmente fiero del fatto che la Svizzera è l’unico Paese donatore attivo nel campo delle infrastrutture, per esempio nella ristrutturazione di ospedali e scuole.»

In precedenza, l’azione diretta era focalizzata sulla ristrutturazione delle scuole e sul supporto tecnico al Ministero dell’istruzione. La Svizzera, come altri Paesi donatori di vedute affini, ha infatti interrotto il proprio sostegno alle istituzioni centrali a seguito della presa del potere da parte dell’esercito. Oggi l’azione diretta è incentrata sui dipartimenti di servizio dei gruppi etnici, la cui competenza è riconosciuta dalle rispettive circoscrizioni. Sono particolarmente fiero del fatto che la Svizzera è l’unico Paese donatore attivo nel campo delle infrastrutture, per esempio nella ristrutturazione di ospedali e scuole. Ogni edificio è dotato delle attrezzature necessarie e progettato individualmente. Il nostro team di ingegneri assicura la manutenzione e la sostenibilità mediante l’impiego di materiali locali.

Quando ho tempo, prendo la bici e vado a pranzare in un bistrot nelle vicinanze. Il menu include piatti thailandesi e indiani, e persino hamburger vegetariani.

Svolgo visite sul campo cinque o sei volte all’anno, che a mio modo di vedere non bastano. Tuttavia, per questo genere di missioni il personale straniero necessita di un’«autorizzazione di viaggio» del Ministero degli affari esteri del Myanmar, la cui emissione richiede quattro settimane. Per ovvie ragioni – la barriera linguistica – le mie colleghe e i miei colleghi locali, tutti altamente competenti e coraggiosi, sono più efficienti di me nel gestire problematiche legate ai progetti. La lingua birmana è meravigliosa, ma tanto complessa quanto il contesto in cui viene parlata.

Lavorare in questo Paese ha le sue sfide e la continuità e la sicurezza sono fondamentali per affrontarle. Occorre monitorare costantemente le zone di conflitto e i decreti promulgati dalla giunta. L’aspetto per me più interessante del lavoro in Myanmar è che si deve sempre stare all’erta, agire in modo innovativo e trovare soluzioni. Prima di prendere una decisione è necessario consultare il maggior numero possibile di gruppi d’interesse pertinenti, naturalmente senza perdere tempo.

Mi mancherà l’atteggiamento premuroso e cordiale della popolazione del Myanmar che, nonostante gli sconvolgimenti degli ultimi anni, non ha mai perso la propria gentilezza. Gli sviluppi successivi al colpo di Stato hanno anche dimostrato quanto la gente del posto sappia farsi valere e lottare con risolutezza.

Le mie giornate terminano solitamente intorno alle 18.00. Il tragitto in bici verso casa è tutt’altra cosa rispetto a quello mattutino: è l’ora di punta, inizia a fare buio e i motori a diesel – non proprio efficienti – rimbombano nelle strade.

Chi rientra per primo dà da mangiare alla regina di casa.»

Contatto

Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC)
Eichenweg 5
3003 Berna